di Giulia Lovaste, Associato Studio Legale Grimaldi
Il 5 luglio è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva (EU) 2024/1760 del 13 giungo 2024, relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, che modifica la direttiva (UE) 2019/1937 e il regolamento (UE) 2023/2859. La Direttiva, meglio nota come “Corporate Sustainability Due Diligence Directive” (CSDDD), sancendo la fine di una lunga fase di negoziazione tra Commissione, Consiglio e le diverse forze politiche del Parlamento. Ha introdotto un regime comune per tutti i Paesi Membri, fissando obiettivi e doveri da raggiungere entro il 26 luglio 2026.
Il quadro europeo
La Direttiva si inserisce nella più ampia politica UE di sostenibilità, che ha visto lo sviluppo di plurime iniziative normative volte ad attenuare le esternalità negative dei modelli produttivi e tutelare diritti umani e ambiente. Oltre a dettare gli scopi dell’Unione, uniforma i quadri giuridici nazionali, che – nel silenzio europeo – corrono a diverse velocità. Primi fra tutti, gli avanzati meccanismi di due diligence ambientale di Francia e Germania si scontrano con la tramandata dicotomia tra crescita economica e sostenibilità, tutt’ora presente in diversi Paesi.
L’adozione della CSDDD risponde, quindi, alla necessità di armonizzare gli standard nazionali in materia di corporate sustainability, assicurando parità di condizioni, arginando possibili distorsioni interne della concorrenza ed evitando il rischio della dislocazione delle attività produttive verso giurisdizioni meno green e con minori obblighi di sostenibilità.
Cosa prevede?
La CSDDD impone a tutte le società europee (che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 2) di “individuare, prevenire, attenuare, ed, eventualmente, riparare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente”. Come? Attraverso l’instaurazione di sistemi di informativa, gestione e monitoraggio, atti a prevenire rischi (anche solo potenziali) e a rimediare a passate esternalità negative. L’intera catena globale del valore ne risulta impattata, rischiando – in caso di mancato adeguamento – sanzioni pecuniarie massime in misura non inferiore al 5% del fatturato netto (mondiale) nell’esercizio precedente. Inoltre, la Direttiva riconosce la responsabilità solidale dei soggetti coinvolti anche in relazione alle pretese risarcitorie relative alla violazione dei diritti ambientali e sociali internazionalmente riconosciuti, quali – ad esempio – il degrado ambientale o l’incidenza negativa sugli ecosistemi naturali.
Molteplici sono le sfide che le società europee (con almeno 1.000 dipendenti e € 450 milioni di fatturato) e le società di Paesi terzi (con considerevole fatturato in EU) dovranno affrontare nei prossimi due anni. Secondo le stime della Commissione, ad essere impattate saranno oltre 6.000 società europee e 900 società extra-europee. A queste si aggiungono le società che, pur non rientrando formalmente nell’ambito della Direttiva, si dimostrano interessate ad adottare volontariamente i sistemi previsti, nell’ottica di beneficiare del trattamento di favore che investitori e banche riservano alle attività green. Finora, infatti, le norme europee sulla governance societaria
sostenibile si sono concentrate principalmente sui requisiti di rendicontazione non finanziaria per valutare i rischi ambientali, sociali e relativi ai diritti umani.
La CSDDD costituisce, quindi, l’anello di congiunzione tra la “Corporate Sustainability Reporting Directive” (CSRD), che ha introdotto per la prima volta la disclosure di sostenibilità come parte integrante del processo di due diligence aziendale, il Regolamento sulla Divulgazione della Finanza Sostenibile (SFDR), che impone agli operatori del mercato l’obbligo di fornire dati e informazioni sui rischi in materia di diritti umani e ambiente all’interno delle loro catene del valore, e il Regolamento Tassonomia, che fornisce un sistema di indicatori di performance a sostegno del processo decisionale in materia di investimenti sostenibili.
L’ecosistema normativo descritto intende coniugare sostenibilità e competitività. I dati forniti dalle imprese, letti attraverso la chiave di lettura dei fattori ESG (Environmental, Social e Governance), sono, infatti, strumentali per allocare gli investimenti in attività conformi al quadro normativo europeo e sbloccare nuove opportunità di investimento, aumentando la loro attrattiva sul mercato.
I rischi
Di fronte agli obblighi della Direttiva non si può escludere (quantomeno nel primo periodo di adozione) uno spostamento delle catene del valore verso giurisdizioni più rispettose dell’ambiente e dei diritti umani, dove i costi di produzione sono nettamente più significativi con conseguente aumento del prezzo di vendita. In tal senso, la CSDDD rischia di determinare indirettamente un doppio pregiudizio economico: da un lato minore produttività per le società europee, dall’altro un maggior prezzo a carico del consumatore. In aggiunta, in mercati poco concorrenziali (dove le alternative di fornitura sono limitate), stante l’obbligo di rispettare i dettami della Direttiva lungo tutta la catena di approvvigionamento, l’impresa potrebbe essere costretta a ricorrere a beni sostitutivi subottimali o – in casi estremi – affrontare le conseguenze del ritiro dal mercato del bene finale. Pertanto, seppur mossa dai migliori intenti ambientali e sociali, la Direttiva rischia di incrinare equilibri di mercato, difficilmente preventivabili.
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