di Redazione ImprontaZero
Intervista ad Alex Bellini
Alex Bellini, esploratore e divulgatore. Il tuo messaggio parte dall’assunto che “le crisi potrebbero essere alleviate con un’azione semplice: riconnettere l’essere umano alla natura”. Aiutaci a capirlo meglio. Nella tua vita da esploratore e in quella di tutti i giorni.
Per mestiere viaggio, lo faccio da oltre vent’anni. In particolar modo, a partire dal 2019 navigo sui dieci fiumi più inquinati di plastica al mondo, dalla Cina, al Pakistan, all’Egitto. Ovunque ho trovato degrado, ambienti contaminati e impoveriti delle loro risorse naturali. Ciò che è peggio, a mio modo di vedere, è riscontrare che l’uomo ha esiliato la natura dalla propria coscienza. “Qualcuno se ne prenderà cura” è il sentimento generale. Riconnettere l’essere umano alla natura vuol dire innanzitutto riconoscere il ruolo centrale che ricopre nella nostra vita. Hans Imler sosteneva che la natura stabilisce con noi un nesso di reciprocità insuperabile e invalicabile, dal momento che “tutto ciò che noi consumiamo lo produce la natura, e tutto ciò che noi produciamo consuma la natura”. Purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi, il nostro unico rapporto con la natura è di tipo utilitaristico e la consideriamo solo come il luogo in cui possiamo approvvigionarci, gratuitamente o al massimo a buon mercato, delle materie prime necessarie alla produzione, senza però darle il tempo di rigenerarsi. Parte essenziale del risveglio culturale necessario ad intraprendere un percorso di sviluppo davvero sostenibile è il passaggio a un pensiero sistemico, un modo di riflettere di ordine superiore. Pensare in modo sistemico richiede cambiamenti nella nostra percezione, come dei movimenti orizzontali verso pensieri più evoluti. Dall’idea di parti a quella di tutto, dal focus sugli oggetti a quello sulle relazioni, dalla conoscenza appresa alla conoscenza compresa, tra cui corre la stessa distanza che divide l’avere dall’essere; che distingue cioè quell’avere inteso come acquisizione di cose o nozioni destinate all’immobilità del loro senso, da quell’essere consapevole.
Hai attraversato gli ambienti più ostili del nostro pianeta. Deserti, ghiacciai, oceani e sempre con la sola forza dell’uomo. A piedi, remando, sciando. Portiamo tutto questo a livello di quotidianità. L’uomo moderno ha perso queste sue capacità innate, oppure ha la possibilità di riscoprirle e viverle nel suo quotidiano?
Esplorare è parte della natura umana. Per tutte le diverse forme che assume in diversi periodi storici, per tutti i motivi degni e indegni che si nascondono dietro di essa, l’esplorazione sembra essere una compulsione umana, persino un’ossessione; è un elemento caratterizzante di un’identità distintamente umana, e quel che è certo è che non si fermerà mai a nessuna frontiera, terrestre o extraterrestre.
La sostenibilità è un tema dal quale non si può più prescindere. Ce lo chiede il pianeta, piagato dai segni dell’uomo, e ce lo impongono le future generazioni che hanno il diritto di godere di un mondo vivibile. Quanto credi tutto questo sia chiaro ai decisori pubblici e privati?
L’essere umano moderno vive ancora con un cervello che per il novanta per cento si è sviluppato nel Pleistocene, epoca geologica risalente a circa 200.000 anni fa. All’epoca le sfide che incombevano sulla vita dei nostri antenati erano molto diverse dalle nostre: era necessario pensare alla sopravvivenza del clan giorno dopo giorno, inverno dopo inverno, il futuro era la continuazione del passato e la pianificazione a lungo termine, immagino, era fuori discussione. L’ambiente in cui viviamo oggi ha subito una grande trasformazione in un periodo, geologicamente parlando, molto limitato. Le sfide oggi, complesse e ambigue, richiedono lungimiranza e parsimonia, il futuro è la continuazione del passato, ma poiché siamo ancora guidati da “sistemi operativi” dell’età della pietra facciamo estremamente fatica a sintonizzarci con i nostri sé futuri. La maggior parte di noi è guidata dal bias del presente, cioè la tendenza a preferire la gratificazione immediata a una gratificazione più grande nel futuro e ciò può contribuire a un’ampia gamma di problemi ambientali, che vanno dallo sfruttamento eccessivo degli oceani e delle foreste, al mancato investimento in nuove tecnologie per affrontare il cambiamento climatico, all’adozione di modelli economici senza domandarci di quale economia la natura abbia bisogno per continuare, anche in futuro, a farci dono delle stesse risorse. La tendenza a dare maggior peso al presente e scontare i bisogni futuri non è tipica solo della società civile, anche i decisori pubblici e privati ne sono colpiti, soprattutto perché sono valutati per la loro capacità di portare risultati nel breve periodo. Il futuro, in qualche modo, non ci appartiene.
Sei chiamato dalle aziende a raccontare le tue esperienze. Il tuo punto di vista è di grande serietà sulla sostenibilità. Sei un esempio e non ti puoi permettere di avvicinare il tuo nome a chi invece fa greenwashing. Credi che il mondo dell’impresa sia pronto a fare sul serio? Solo le aziende grandi? O la sostenibilità è per tutti?
Inevitabilmente, quando un argomento diventa così centrale nei dibattiti pubblici – non solo per la comunicazione e il marketing, ma anche per la capacità di continuare a erogare prodotti o servizi in futuro – c’è chi interpreta questa trasformazione con serietà e c’è chi, incapace di cogliere le opportunità, si fa spaventare dal cambiamento e continua a fare ciò che ha sempre fatto fingendo di farlo un po’ meglio. La sostenibilità è decisamente una caratteristica che accomuna tutte le aziende, indipendentemente dalle dimensioni. La prima e imprescindibile forma di sostenibilità è quella economica; non può esistere azienda se non è economicamente sostenibile. Oggi però questo non basta, il mercato chiede trasparenza, i consumatori sempre più responsabili chiedono prodotti realizzati da imprese etiche che sanno interpretare il loro ruolo in ottica di benessere collettivo.
Un messaggio agli imprenditori che leggono il nostro periodico. Da dove partire per un’autentica riconversione ecologia delle loro attività?
Cinquant’anni fa Milton Friedman presentò al mondo la sua dottrina divenuta poi universale in base alla quale le imprese devono concentrarsi su un unico obiettivo: massimizzare il valore creato per i loro azionisti. Oggi siamo nel pieno di una crisi insostenibile perché questo sistema economico di riferimento ha dimostrato di non essere adatto a sostenere la vita sulla terra poiché viola sistematicamente i principi fondamentali da cui dipendono gli equilibri sociali e ambientali. Oggi bisogna trovare con urgenza dei nuovi modelli di riferimento che sappiano coniugare gli interessi degli azionisti con quello di tutti gli altri portatori di interesse. Tutte le aziende, grandi e piccole, possono cominciare a misurare il proprio impatto sociale e le proprie performance ambientali con lo stesso rigore con cui misurano l’impatto economico. Le difficoltà e le paure sono molte. Svegliarsi la mattina e pensare non solo a generare profitto, ma anche massimizzare l’impatto positivo su persone e ambiente è una sfida al quadrato. Ma è l’unica possibile.
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