di Giulia Falzone
La siccità è entrata nelle nostre vite. Con le autobotti a far la staffetta da un comune all’altro e una parola – razionamento – che la mia generazione associava per lo più ai racconti dei nonni su “quando c’era la guerra”. Viviamo ancora in una condizione privilegiata, ma ogni giorno assistiamo sempre più da vicino agli effetti dei cambiamenti climatici. C’è chi lo aveva previsto, chi ci sta sbattendo la faccia, chi ancora stenta ad ammetterlo, ma i numeri parlano da soli. I cambiamenti climatici sono un fatto e la siccità è una diretta conseguenza, esacerbata da consumo e degrado del suolo (e in Italia è un problema anche questo).
La siccità non è certo una novità, ma l’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha registrato dal 2000 un aumento del 29 per cento per numero e durata degli episodi di siccità, rispetto ai due decenni precedenti e si attende un aggravamento in termini di frequenza e intensità, anche nell’area Mediterranea. L’entità di questo peggioramento sul lungo periodo verosimilmente dipenderà in larga misura da quanto si riuscirà a contenere l’innalzamento della temperatura media globale.
Parlando di casa nostra, i grandi laghi sono scesi ai minimi livelli, le riserve nivali, scarse stante le poche nevicate invernali sono esigue e in queste settimane il Po ha affrontato la peggior siccità degli ultimi 70 anni, con una portata del 70 per cento inferiore rispetto alle medie storiche registrate da Arpa. Quando la portata del Po è scarsa e il fiume scende sotto al livello del mare, l’acqua del mare può risalire (la c.d. risalita del cuneo salino), causando la presenza di acqua salmastra per vari chilometri a monte del delta, salinizzazione della falda e difficoltà di approvvigionamento per gli acquedotti, interruzione dell’irrigazione ed anche danni all’ecosistema del delta.
Come siamo arrivati a questo punto? Il maggio scorso è stato il secondo più caldo degli ultimi 65 anni e in Piemonte, tra dicembre 2021 e marzo di quest’anno, abbiamo vissuto un periodo di 111 giorni senza piogge significative, il secondo più lungo dagli anni Cinquanta (dati Arpa). In particolare nel Novarese e Verbano Cusio Ossola – tra le aree più colpite dalla siccità – uno studio del Politecnico di Milano ha evidenziato a partire dal 2019 una riduzione delle precipitazioni tra il -30 ed il -69 per cento, con aumento degli eventi estremi e innalzamento della temperatura da +1 a +3 gradi rispetto alle medie stagionali.
Per quanto stia crescendo la consapevolezza dei rischi connessi alla siccità, le dimensioni del problema sono ancora generalmente sottostimate, così come i costi diretti e indiretti per economia e società.
Non parliamo solo di un’emergenza ambientale, ma di un problema che, se non adeguatamente affrontato, impatterà sempre di più sul nostro quotidiano, sul nostro benessere, sul nostro lavoro.
La siccità coinvolge ogni anno già 55 milioni di persone ed entro il 2050 potrebbe riguardare tre quarti della popolazione mondiale (fonte UN). Sembra un orizzonte troppo lontano? Secondo il Rapporto 2021 dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio catastrofi, da qui a tre anni oltre il 60 per cento della popolazione mondiale rischia di trovarsi in condizioni di “stress idrico”, perché la domanda d’acqua supererà largamente l’offerta. Una questione che riguarda tutti, quindi.
Abbiamo sotto gli occhi come il settore agroalimentare sia uno dei più colpiti ed è anche quello in cui è possibile avere una quantificazione più immediata dei danni, tra raccolti persi, costi maggiori per irrigazione e alimentazione del bestiame, proliferazione di parassiti, indotto, per citarne alcuni. A fine giugno Coldiretti segnala danni per 3 miliardi e siamo solo a inizio estate.
Gli effetti della siccità sono però trasversali, non si limitano all’agricoltura e alle aree direttamente coinvolte e possono durare ben oltre il termine della fase emergenziale. La Convenzione delle Nazioni Unite per il contrasto alla desertificazione segnala perdite economiche globali causate dalla siccità tra il 1998 e il 2017 per oltre 120 miliardi di dollari e si tratta sempre di una quantificazione parziale a ribasso.
Perché? In condizioni di siccità diminuiscono le possibilità di approvvigionamento idrico pubblico e contemporaneamente si ha un aumento della domanda per usi industriali, agricoli e sanitari, soprattutto in concomitanza, come è successo in queste settimane, di ondate di calore sempre più frequenti a causa della crisi climatica. Una criticità ancora più seria nei centri urbani ad alta densità, dove la temperatura è generalmente più alta, con conseguenti maggiori rischi per la salute umana.
Inoltre, meno acqua c’è nei corsi d’acqua, più elevata è la concentrazione di inquinanti e cresce la necessità di monitoraggi. Nel nostro Paese la situazione è aggravata dalle condizioni in cui versano gli acquedotti: le rilevazioni di ARERA evidenziano che oltre il 40 per cento dell’acqua potabile immessa nella rete di distribuzione viene disperso e non arriva ai nostri rubinetti. La siccità impatta anche sulla produzione di energia, non solo idroelettrica, e sulle infrastrutture. Al variare dell’umidità, infatti, le caratteristiche meccaniche dei terreni cambiano – ad esempio, con fenomeni di rigonfiamento e ritiro in terreni argillosi – e questo può comportare danni a edifici, impianti e reti di trasporto. Dal commercio alle attività turistiche e ricreative water-intensive, non c’è settore che direttamente o indirettamente non avrà conseguenze. Quindi, compiti per le vacanze: comprendere e gestire i rischi connessi alla siccità e agire per essere parte della soluzione, perché non basterà qualche temporale estivo a compensare il deficit idrico e sistemare le cose.
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